Se una notte di primavera un assaggiatore. Così s’intitola un vecchio articolo di “Appunti Digòla”, antesignano dei blog di cucina, che Stefano Caffarri aprì nel 2006. L’enogastronomia non era ancora un trend di massa e i foodie – che all’epoca si chiamavano gourmand, alla francese – si contavano sulle dita di due mani. Per darvi un paio di riferimenti temporali: nel 2006 gli italiani navigavano nel world wide web in media 12 ore la settimana, La Prova del Cuoco di Antonella Clerici era alla sua quarta edizione, mentre i giudici di Masterchef Italia sarebbero entrati in azione soltanto cinque anni dopo.
Se una notte di primavera un assaggiatore, si diceva. Il titolo, di calviniana memoria, rende bene l’indole curiosa di Stefano Caffarri, The Caf per gli amici. Uno per cui la tavola è sempre stata prima di tutto una passione, da farci le ore piccole girando l’Italia da nord a sud alla scoperta di piatti e sapori. Una passione così profonda e caparbia, che non poteva non trasformarsi in professione. Il passaggio avvenne nel 2012, quando il blogger pioniere venne chiamato alla direzione di una delle testate più istituzionali del settore: Il Cucchiaio d’Argento.
Alla sua penna, raffinata e goliardica, va il merito di aver contribuito a fondare una critica gastronomica tricolore quando ancora non c’era – almeno nel senso moderno del termine – grazie a un uso personalissimo del linguaggio e della macchina fotografica. Dopo sette anni al Cucchiaio, oggi il Caf è consulente in comunicazione per ristoranti e aziende food&wine. Il suo complito principale è raccontare la relazione tra piatto e chef, immortalandoli in uno scatto. Ma non è raro trovarlo anche dall’altra parte del bancone, protagonista di golosi show cooking.
E allora la domanda è d’obbligo: come entrano i prodotti dell’ortofrutta nella tua cucina, quando sei a casa e quando sei dietro ai fornelli per lavoro?
«Sono emiliano, e nel mio DNA gastronomico la frutta e la verdura sono un complemento. Ma i tempi cambiano e oggi cerco sempre di vedere il lato goloso nel mondo vegetale, in particolar modo con cotture brevissime, in onta alla consuetudine italiana».
Quali varietà in particolare?
«Oltre a quelle di base, adoro tutti i legumi e le verdure a foglia, così come l’intera famiglia del cavolo. Mi piacciono le trasformazioni in polveri ed estratti. Indulgo spesso nell’uso della barbabietola: buona e spettacolare, sia cruda che cotta».
La qualità delle materie prime, si sa, fa la differenza, ma come raggiungerla?
«Per le varietà “insolite”, quando mi servono tipologie di frutta e verdura particolari, mi affido a FruttaWeb – un e-commerce di prodotti naturali a filiera corta, garantita dal contatto diretto con i produttori – che lavora molto bene sia in proposta che in consegna». E pensando al consumo quotidiano? «Mi servo da un paio di store Gdo locali che vanno oltre la solita offerta, e quando ho tempo frequento un paio di aziende agricole della mia zona che fanno vendita diretta».
Qual è il tuo punto di vista rispetto al cosiddetto “complesso di inferiorità” di frutta e verdura, tradizionalmente relegate a un ruolo subalterno in cucina, tanto dalla tradizione popolare quanto dall’alta ristorazione?
«Devo dire che sento particolarmente la questione, perché vivo in modo forte il condizionamento “storico” che non mette nella stessa frase “verdura” e “golosità”. Quindi provo a cercare accostamenti inusuali, cotture brevi o addirittura nulle, essicazioni, disidratazioni o estratti».
E per la frutta?
«Il discorso è un po’ diverso: al naturale è già golosa di per sé, mentre in cucina è quasi sempre un azzardo, o quanto mento una cosa inconsueta. Anche se selvaggina e frutta rossa e blu sono un classico. Per esempio melone e ciliegie diventano ottime zuppe fredde, la nettarina vince assieme all’ostrica, le mele e le pere si confrontano bene con sia con la carne che con il pesce. In solitudine le verdure sono un perfetto compagno di viaggio per la pasta e il riso, e d’inverno sono zuppe trionfali. Una cosa che ho imparato da alcuni bravi chef è il recupero degli scarti – le bucce – con cui si fanno brodi saporiti e fondi sontuosi».
Ma i professionisti italiani della ristorazione hanno davvero compreso fino in fondo le potenzialità di frutta e verdura in cucina?
«La mia impressione è che la sensibilità verso il vegetale sia crescente, non solo per i luminari della cucina “verde” ma anche per le nuove leve e gli chef affermati. Basti ricordare la frequenza con cui “l’orto” e “il bosco” vengono citati come fonte di ispirazione, tanto di diventare quasi un luogo comune».
Da un gastro-critico del calibro di Stefano Caffarri ci aspettiamo un ricordo preciso di una preparazione a tema ortofrutta. Ed eccoci accontentati. «Il piatto vegetale più travolgente assaggiato negli ultimi mesi è “Garcinia ed erbe, sfumature iodate” di Luigi Taglienti, chef del ristorante stellato Lume di Milano. La garcinia, particolarissima essenza cambogiana, viene associata in un piatto a 10/12 tipi di frutta e verdure, ognuna con cotture separate, e in un secondo piatto a diverse erbe fresche. Un vero trattato di sapori e profumi vegetali. Quanto a me, accostare una mia ricetta a tanta grandezza mi pare irriverente, ma l’ostrica con Gin Puro e battuta di nettarina è davvero ben riuscita…»
Un consiglio ai produttori di frutta e verdura, per intercettare le richieste della ristorazione d’autore? «Curare la singolarità e proporre una storia. Se una varietà è unica ed è corredata da un racconto altrettanto unico diventa spendibile anche nel grande ristorante. Ovviamente al seguito di una qualità di vertice in concentrazione, intensità e perfetta maturazione».