Intervista a Altatto, l’alta cucina vegetariana che onora le consistenze

reparto frutta e verdura NaturaSì

Nato dall’incontro di tre cuoche nel leggendario ristorante Joia di Pietro Leemann, Altatto è molto più di un progetto di cucina: è un manifesto di amore per il pianeta. Con un bistrot a Milano e un servizio catering per eventi, porta in tavola l’eccellenza vegetariana, esaltando ingredienti locali e stagionali. La sua filosofia: sostenibilità, qualità e creatività, con piatti che celebrano la natura e i piccoli produttori. Altatto non è solo cibo, ma un’esperienza che unisce tradizione e innovazione, dimostrando ancora una volta che la cucina vegetale può essere sorprendente e gourmet.


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Intervista a Sara Nicolosi, chef di Altatto

Perché “Altatto”?

Allora, abbiamo deciso di chiamare prima il catering e poi il bistrot “Altatto” perché diamo molta importanza al senso del tatto, che spesso in cucina viene un po’ sottovalutato. Si dice: “Che bel piatto!”, “Che piatto profumato!”, “Che piatto buono!”, ma raramente si pensa alle consistenze che lo compongono e lo costruiscono. Invece, per noi sono fondamentali. Quando creiamo un menù, ispirandoci alla filosofia del kaiseki, alterniamo cotture e consistenze per divertire il palato anche da quel punto di vista.

Altatto nasce come catering di finger food. Dieci anni fa andavano molto di moda ciotoline e piccoli contenitori, ma noi abbiamo subito puntato sul superfood, privilegiando piatti che si potessero mangiare con le mani, per ridurre l’uso di sapone e prodotti usa e getta. La stessa filosofia si ritrova nel primo piatto del nostro menù degustazione, dove mettiamo a disposizione tanti elementi e chiediamo ai clienti di comporre una sorta di panino da mangiare con le mani. Questo crea un legame ancestrale con il cibo, un ritorno alle origini.

Per noi cuochi, il tatto è fondamentale: usiamo le mani per comprendere la cottura dei vegetali e sentire la qualità degli ingredienti.

Questo gesto crea un contatto molto intimo con il cibo e con chi lo cucina.

Esatto! Pensiamo ai bambini: imparano a usare le posate per adeguarsi alla società, ma il loro primo approccio al cibo sono le mani. In molte culture, come in India, Sri Lanka o alcuni paesi dell’Africa centrale, mangiare con le mani è un’arte. Io ho viaggiato molto in India e questa pratica mi affascina tantissimo. Le posate, in un certo senso, interrompono il rapporto diretto con il cibo.

Ovviamente, nel nostro ristorante mettiamo a disposizione anche posate per far sentire tutti a proprio agio. Abbiamo una clientela molto varia, anche persone di una certa età che magari non si sentono a loro agio a mangiare con le mani, e noi non forziamo nessuno. L’importante è che ci si senta liberi di scegliere, e questo rende il boccone ancora più godurioso!

Nell’alta cucina, la cucina vegetale a volte può sembrare intimidatoria. Come fate a renderla accessibile?

Il nostro approccio alla cucina vegetale è quello di non ghettizzarla. Non vogliamo che sia vista come qualcosa di “diverso” dalla cucina onnivora. Quando creiamo un piatto, non pensiamo mai a cosa manca, ma a come renderlo goloso: lavoriamo sulle consistenze, sul profumo di brace, sulle spezie, esattamente come faremmo con qualsiasi altro piatto.

Sia io che Cinzia abbiamo una formazione classica in cucina onnivora: abbiamo studiato ad ALMA e lavorato in ristoranti dove si cucinava di tutto. Spesso, nell’approccio alla cucina vegana si sottolinea troppo quello che “non c’è”, mentre in realtà il mondo vegetale offre un incredibile spettro gustativo.

Mi viene in mente un’intervista che feci a Pietro Leemann: lui diceva che è vero, carne e pesce hanno succulenza, ma lo spettro aromatico del cibo non deriva da quelli. E noi lavoriamo su questo, esaltando il gusto e i profumi del vegetale.

La nostra clientela è prevalentemente onnivora e torna da noi non perché siamo un ristorante vegetariano, ma perché si mangia bene. Ad esempio, quest’anno abbiamo ricevuto un premio da Identità Golose non per la “cucina vegetale”, ma semplicemente per la nostra cucina. Questo per noi è un enorme riconoscimento, perché significa che la nostra cucina è apprezzata al di là delle etichette.

C’è un piatto del vostro menù che ha sorpreso particolarmente i clienti per la sua intensità di gusto e consistenza?

Sì! In questo momento abbiamo in menù dei tortellini con un ripieno di tempeh fermentato che abbiamo sviluppato nel tempo. Inizialmente facevamo una salsa, poi delle polpette, finché abbiamo perfezionato il ripieno per questi tortellini. Li serviamo con un fondo bruno vegetale ridotto a glassa e una riduzione di vino e spezie. Il risultato è un piatto intensamente saporito, con profumi che richiamano i tortellini tradizionali.

Una mia amica, vegetariana da anni, dopo averli assaggiati ha detto: “Solo perché sono qui non ti ho chiesto se c’è dentro la carne!”. Il gusto e le spezie evocavano così tanto la tradizione che non ci ha pensato neanche per un secondo.

Noi non cerchiamo di imitare il sapore della carne, ma vogliamo creare piatti che offrano comfort e rimandino alla memoria gustativa di chi li assaggia. Basta una spezia, un profumo o una consistenza per riportare alla mente sapori familiari. E questo, per noi, è il segreto di una cucina vegetale che possa davvero conquistare tutti.

Mi dicevi che Altatto ha compiuto dieci anni. Com’è stata questa evoluzione?

Sì, dieci anni! Non del ristorante, ma del progetto Altatto, che è nato prima come catering. È stato un percorso di crescita bellissimo, in cui abbiamo sempre cercato di valorizzare il mondo vegetale con creatività e rispetto per le materie prime. Il nostro obiettivo è continuare a innovare e a stupire i nostri clienti, senza mai perdere il contatto con le nostre radici e con la nostra filosofia.

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Altatto è la dimostrazione che la cucina vegetale non è una rinuncia, ma un’opportunità per esplorare nuovi sapori, tecniche e tradizioni. Con il loro approccio innovativo e rispettoso, Sara e il suo team stanno ridefinendo l’alta cucina vegetariana, rendendola inclusiva, accessibile e profondamente gustosa. Dieci anni di passione e ricerca li hanno portati lontano, e il futuro promette ancora più creatività e sorprese.

Perché, come insegnano loro, il cibo è esperienza, memoria e, soprattutto, emozione.