La nostra storia comincia in un angolo di strada a Palermo.
E già è un inizio piuttosto avventuroso, o quantomeno romantico, che fa presagire un proseguimento interessante. Questa storia parla di zucchine (mi rendo conto che qua si perda un po’ di fascino retorico) ma anche di tradizioni familiari e street food siciliano – che già di per sé da senso a ogni storia.
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La cucuzza è un tipo di zucchina lunga molto diffuso in Sicilia. A Palermo ne viene fatto un utilizzo decisamente particolare (eufemismo per dire che, la prima volta che noi l’abbiamo scoperto, non ci capacitavamo): la cucuzza ghiacciata è un cibo di strada un tempo molto popolare nel capoluogo siciliano e ora quasi scomparso. In città di cucuzzaro ne è rimasto uno solo. Si chiama Franco. Della popolarità gli importa poco, anzi, non vuole parlare con la stampa né farsi riconoscere. Quello che gli importa è continuare a fare le sue cucuzze all’angolo della strada, sul pianale protetto da un ombrellone di una vecchia Ape malmessa.
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E gli importa perché è una storia di famiglia. Se parlate con dei palermitani di una certa età si ricorderanno tutti che fino a qualche decennio fa di cucuzzari ce n’erano un sacco. Non c’erano tante gelaterie e granite quante ce ne sono adesso, non c’erano i freezer in casa, e quando il caldo siciliano si faceva sentire, il cucuzzaro era la persona a cui fare riferimento. Poi negli ultimi anni sono scomparsi uno dopo l’altro. Tranne Franco: “Un mistero perché gli altri non lo facciano più. Nella mia famiglia abbiamo tramandato il mestiere di padre in figlio, lo faceva mio nonno, lo facevano gli zii di mio padre.” Lui sostiene che l’invenzione sia addirittura da attribuire al nonno di suo padre: “Lavorava poco e così si è inventato questa cosa leggera: una zucchina bollita e messa sotto ghiaccio.” Ora Franco ha un altro lavoro ma non rinuncia a farsi sei mesi all’anno nel furgoncino.
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“Mi fa onore perché è una questione di discendenza. Finché il Signore mi lascia in vita lo farò.” La preparazione della cucuzza ghiacciata è invero semplicissima. Viene appunto bollita, lasciata sotto ghiaccio e servita in un cartoccio con una spolverata di sale e una fetta limone, un’aggiunta che Franco giudica molto recente. È fresca. È saporita. È sorprendentemente buona, per essere una zucchina.
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L’ultima domanda che facciamo in tempo a fargli, mentre ci allontaniamo con la nostra cucuzza ghiacciata in mano, è come vuole essere chiamato. Il nome vero è cucuzzaro? È questo il termine più appropriato con cui riferirci a lui? Fa spallucce. Cucuzzaro va bene, dice, ma in famiglia il soprannome – quel tassello fondamentale della culturale orale siciliana che permette di districarsi in un dedalo di cognomi simili e nomi trasmessi di nonno in nipote – era un altro: suo padre veniva detto “Stefano della Zucchina Bollita”. E così suo nonno, e tutti gli altri uomini della sua famiglia.
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E quindi ciao, Franco della Zucchina Bollita. Anche se solo per qualche minuto ci hai regalato un po’ di refrigerio ma soprattutto ci hai aperto una finestra su una tradizione quasi dimenticata. Continua a fare le tue cucuzze all’angolo di una strada palermitana. Fallo per noi, fallo per la cultura della tua terra. E fallo per chi deve digerire il pani câ meusa mangiato pochi minuti prima a un altro angolo di strada.