«Quando è nata la mia passione per la cucina? Intorno ai 6-7 anni, direi. Per vedere mio padre dovevo andare al ristorante di famiglia. Il primo ricordo che ho di noi due insieme è davanti a una griglia: papà che mi porta uno sgabello e mi dice di salirci sopra per cucinare il pesce». Il protagonista dell’aneddoto è Luca Zuterni, classe 1990, food creator del ristorante La Pedrera a Soncino, una trentina di chilometri di distanza da Cremona, Brescia e Bergamo e una sessantina da Milano.
«Una volta maggiorenne la ristorazione è diventata una professione a tempo pieno. Ho trascorso 7-8 anni in giro per l’Italia tra formazione, consulenze e riposizionamento di ristoranti». Poi, esattamente 18 mesi fa, la decisione di tornare a casa. «Sentivo il bisogno di rientrare alla base per fare la “mia” cucina nella struttura che mio padre ha costruito negli anni Settanta: una sorta di “palafitta” sospesa sul fiume Oglio e circondata da un bosco di 5 ettari di proprietà». Il ristorante si trova all’interno del Parco della Pedrera, completamente immersa in una natura incontaminata che è il cuore della proposta culinaria di Luca Zuterni.
«Per scelta abbiamo deciso di essere completamente autosufficienti sul fronte della verdura e della frutta, utilizzando solo prodotti a km zero che raccogliamo nel bosco vicino al fiume, ma anche in un orto biodinamico che abbiamo realizzato proprio di fronte al ristorante. In tutto 560 metri quadrati che gestiamo con la collaborazione dell’amico agronomo Franco Motti senza fare trattamenti né utilizzare rame e zolfo».
E poi c’è un esperimento in corso:
«Abbiamo deciso di invertire le fasi lunari per produrre delle verdure in versione mignon. Per capirci faccio l’esempio delle carote: partiamo da semi biologici che piantiamo durante le fasi di luna calante e non crescente, come si dovrebbe. In questo modo arrivano comunque a maturazione, ma restano di 4-5 centimetri di lunghezza, non di più». Sono “simpatiche” e hanno un gusto decisamente più concentrato.
In questi giorni nell’orto si possono vedere spuntare quattro tipi di cavolo, cinque di radicchio e due di verza, per citare solo gli ortaggi più voluminosi.
«Abbiamo ancora qualche melanzana, sia la violacea che garantisce una bella piccantezza, sia la bianca che utilizzo per le puree visto che è quasi completamente priva di semi». E la zucca? «Ne abbiamo piantate quattro tipi diverse, tra cui anche quella egiziana che si distingue per le sue grandi dimensioni. L’altro giorno ne abbiamo colta una che pesava 18 kili: era più lunga del mio nipotino di due anni!».
Accanto all’orto “classico” ce n’è uno verticale di 8 metri di altezza dedicato alle erbe aromatiche e a piccole piantine: erba cedrina, ruta, fragole, dragoncello, finocchietto, santoreggia…
Tra le tipologie di salvia c’è anche quella all’ananas, così chiamato perché la sua foglia di grandi dimensioni ricorda quella del frutto. Mentre tra le numerose specie di timo ce n’è una antica, recuperata dall’orto della bisnonna di Luca che nessun agronomo è ancora riuscito a ricondurre a varietà esistenti in commercio.
La sfida più grande è garantire la continuità dei prodotti ortofrutticoli. «Il locale ha 20 coperti e io ogni mattina prendo dall’orto quello che so che mi servirà per il menu del pranzo e della cena. Il primo anno è stato di prova per capire come gestire la produzione della verdura. Negli ultimi sei mesi le quantità si sono stabilizzate e anche noi abbiamo finalmente preso le misure. C’è un capannone vicino al ristorante in cui stocchiamo patate, aglio, cipolle e ovviamente anche la frutta per utilizzarli all’occorrenza». Un’altra regola fondamentale è “zero sprechi”. «Cerchiamo di non buttare via niente e adoperiamo tutte le parti dei frutti e dei vegetali. Nel caso della zucca, ad esempio, i semi vengono adoperati per fare una spuma e la buccia diventa una vellutata. Questo ci permette, fra le altre cose, di non aggiungere praticamente mai né zucchero né sale alle ricette».
L’orto è aperto, senza recinzioni, e il parco naturale della Pedrera si trova all’interno di una riserva dove non è permessa la caccia. «Agli animali selvatici, in particolar modo volpi e lepri, il nostro campo fa molta gola. La notte, quando nessuno di noi è presente a controllare la zona, ci difendiamo grazie ai nostri amici a quattro zampe: alcuni gatti e un cane lupo di 45 chili che si rivelano delle ottime guardie!».
La proposta della Pedrera riflette la personalità dello chef.
Tecniche di cottura antiche vengono abbinate a lavorazioni moderne, con qualche riferimento alla cucina molecolare e una dose abbondante di creatività. Giovanissimo (e a capo di una brigata di under 30), Luca Zuterni non ha certo paura di osare.
Tra i signature dish c’è “Il bosco in un riso” preparato con riso carnaroli, latte di capra, brodo di foglie fermentate, oli essenziali di terra umida, corteccia, sottobosco e guanciale di Cinta. «Utilizzo foglie e tronchi verdi, i più ricchi di resina, per fare il brodo. E poi distillo una parte di corteccia, una parte di foglie verdi e una parte di terra umida per aggiungerne tre gocce di ogni tipo sul risotto. A me piace chiamarlo “trip mentale”: basta mettere la forchetta alla bocca e chiudere gli occhi per ritrovarsi al centro di una foresta». Assaggiare per credere.