«L’anno scorso abbiamo rinnovato gli ambienti della cucina scegliendo tre colori portanti. Il nero, che per me rappresenta l’eleganza. L’acciaio, che è sinonimo di tenacia e disciplina. E infine il verde, che abbiamo utilizzato per le pareti – creando un effetto spugna in coppia con il nero – per sottolineare anche cromaticamente la nostra filosofia green, l’amore per i vegetali e i prodotti della terra. Insomma, noi il verde ce lo sentiamo addosso e lo abbiamo voluto anche intorno!». A parlare è Stefano Baiocco, chef due stelle Michelin del ristorante Grand Hotel a Villa Feltrinelli a Gargnano, sul lago di Garda. Uno con le idee chiarissime sulla sua idea di cucina, dove la creatività rimanda alla tradizione, donandole una nuova, ammaliante veste.
«Non si tratta di un ristorante veg: nel menu ci sono carne e pesce, compreso quello di acqua dolce, ma gli ortaggi, le erbe aromatiche, i fiori eduli e la frutta occupano un posto speciale». Accanto alla proposta à la carte, figurano due menu degustazione: «100% Baiocco è la sintesi del mio percorso di ricerca, mentre 100% Green, non meno emblematico, è il viaggio tutto incentrato sui sapori dell’orto e dintorni, con la presenza di uova e latticini».
Villa Feltrinelli dispone di tre ettari di parco. Stefano Baiocco è l’executive chef del ristorante dal 2004 e, grazie all’appoggio della direzione dell’albergo, ha potuto dare sfogo fin dai primi anni alla sua grande passione per le piante e le verdure, organizzando una piccola serra che oggi conta 40 vasi a dimora con lattughina, lollo, acetosa, mizuna e molti altri ortaggi. «Acquisto i semi in Inghilterra, da un fornitore che mi garantisce una qualità elevatissima. Nel corso dell’anno facciamo in media 2/3 semine».
All’esterno, all’altezza dei giardini che circondano le limonaie, ci sono invece le aiuole con i fiori eduli e le erbe aromatiche: in tutto 120-130 tipologie. «Il nostro non è un orto tradizionale ma un giardino con aiuole ben curate. Le diverse specie sono posizionate in maniera tutt’altro che casuale: dietro c’è uno studio articolato, che considera i colori e i volumi delle erbe, così da garantire anche l’aspetto estetico». A Villa Feltrinelli nessun dettaglio può essere lasciato al caso.
Per i grandi chef è d’obbligo rendere gourmet ogni preparazione, ma come si fa per gli elementi vegetali? «Rispettandoli, trattandoli bene. La verità è che solo se li senti come “tuoi”, riesci a dare loro la giusta importanza». Paragonati alla carne o al pesce, sono ingredienti più fragili, vanno letteralmente curati, oltre che studiati con attenzione. «Alcune verdure, ad esempio, possono essere cucinate solo espresse, altrimenti perdono la loro brillantezza e croccantezza. Poi ovvio, ci vuole anche il fattore fantasia. Con i fiori e le foglie del tagete, ad esempio, noi ci prepariamo un gelato».
Negli ultimi anni l’uso di erbe aromatiche e fiori è diventato una moda. «Alcuni chef si muovono con disinvoltura, altri in maniera improvvisata. Cosa fa la differenza, oltre alla cultura del prodotto? Gli spazi adatti per la coltivazione. Essendo ingredienti “romantici”, effimeri, bisogna necessariamente averli a portata di mano. I fiori, ad esempio, vanno raccolti il mattino e utilizzati il giorno stesso per le preparazioni del pranzo e della cena. Noi evitiamo consapevolmente l’approvvigionamento in frigorifero».
Tra i signature dish dello chef Baiocco c’è “…una semplice insalata”, che a dispetto del suo nome è tutt’altro che facile, sia per la lunga preparazione, sia per quanto riguarda la ricezione da parte del commensale, chiamato a fare delle scelte, boccone dopo boccone. «Si compone di circa 140 elementi tra erbe, fiori eduli e germogli che vengono montati creando una specie di piramide: la base è costituita dalle foglie più grandi; sopra sono aggiunte le più piccole, sormontate a loro volta dai fiori. L’insalata viene condita con un filo d’olio di mandorle che avvolge le foglie e scalda un po’ il palato. Nessuna aggiunta di sale o aceto: la sensazione è quella di addentare la natura. La serviamo come pre-dessert, prima dei dolci: è un modo per “pulirsi” la bocca».
Lo chef la definisce democratica e anarchica insieme.
«Democratica perché usiamo le foglie di tutte le erbe che coltiviamo e perché non vogliamo contraffarne il gusto. Anarchica perché, servendola con le pinze, permettiamo al cliente di scegliere in piena libertà come comporre il singolo boccone. In questo modo, per ogni ospite le sensazioni sono differenti, a seconda del tipo di foglie e fiori che di volta in volta mette in bocca. Se alcune erbe sono decisamente più neutre, altre, come la ruta, l’ottunia o l’artemisia, regalano una nota piccante e amara».
Da citare anche un altro grande classico, “Tutto pomodoro”, che entra in carta di norma verso fine agosto. In questo caso le varietà di pomodoro previste superano la quarantina.
«Una parte viene condita a crudo con cristalli di sale e olio extravergine del Garda. Una parte segue una lavorazione semi dry, con un’essiccazione di 4/5 ore. Alcuni pomodori sono marinati in una salsa sweet and sour, dolce-piccante; altri vengono cucinati sottovuoto, in osmosi con aceto balsamico agli agrumi». L’accompagnamento è costituito da una crema di patate, un budino di mozzarella di bufala e una granita di panzanella, quest’ultima versata al momento del servizio dal cameriere. Insomma, non manca nulla: la nota fresca, quella acida, quella piccante, il gioco di consistenze.
A settembre, quando i funghi danno il meglio di sé, fa la sua comparsa un altro piatto ormai leggendario: il “Tiramisù ai porcini”.
«Ci sono tutti gli elementi del classico tiramisù, che viene richiamato anche alla vista, ma gli ingredienti ovviamente cambiano e il piatto ha una matrice salata. Noi lo proponiamo come antipasto». Il biscotto savoiardo, realizzato con tuorlo d’uovo, zucchero semolato e fecola di patate, viene imbevuto in un brodo di porcini. A comporre i diversi strati ci sono anche il budino di porcini, il ragù di porcini, l’olio ai porcini e la crema al mascarpone, preparata con tuorlo e panna infusionata per una notte con porcini secchi. Sopra, una polvere di porcini secchi e cacao amaro. «Come si può facilmente capire, questa preparazione, così come le precedenti, è piuttosto lunga e laboriosa: serve tempo, una grande tecnica, ma soprattutto molta, moltissima dedizione per il proprio mestiere».