Per secoli le arance si sono sempre consumate localmente, in Sicilia: erano frutti deperibili facilmente, pertanto, costose portarle altrove. A differenza del limone, che si può raccogliere acerbo, l’arancia deve essere raccolta una volta raggiunto il giusto punto di maturazione. Questa “fragilità”, oltre a giustificare il prezzo proibitivo che in pochissimi potevano permettersi, fu un grosso problema per i produttori siciliani che volevano esportare le loro arance in ottime condizioni.
Anche se la moltiplicazione delle ferrovie e dei piroscafi aveva ridotto i tempi di trasporto, bastava che un’arancia fosse marcia per rovinare tutto il resto degli agrumi.
Era necessario trovare un modo per proteggerle durante il viaggio…
Gli incarti delle arance per trasportarle fuori dalla Sicilia
La soluzione dei produttori fu quasi paterna: vestire le arance con una seconda pelle che proteggesse quella originaria. E così, legata a una necessità di esportazione, intorno al 1850 nacquero i primi incarti per le arance. Inizialmente in un’anonima carta bianca o blu, grossolana e senza stampe. Poi le cose si fecero più vivaci.
Nei primi anni del Novecento compaiono incarti dorati e brillanti, che sottolineavano l’eccezionalità delle arance. Questi distinti abiti che le avvolgevano non passarono inosservati, e l’arancia diventò uno prezioso dono natalizio.
Dopo la Prima Guerra Mondiale il mercato degli agrumi si espanse. La consapevolezza delle proprietà salutistiche delle arance fece salire la domanda e, di conseguenza, i numeri dei competitor. Nessuno, però, poteva immaginare quello che sarebbe avvenuto.
L’incarto delle arance, nato ai fini di conservare i frutti, divenne un’industria di colore, creatività e ingegno, destinato a sopravvivere in cinquanta paesi.
L’incarto delle arance: la nascita di un’arte popolare
Fermiamoci un attimo ad immaginare questi grandi negozi e piazze di mercati di Copenhagen, Amburgo o New York, dove arrivavano migliaia e migliaia di casse di arance… tutte uguali. Come differenziarsi? Come far scegliere al consumatore le proprie arance piuttosto che quelle della concorrenza?
I produttori pensarono che negli incarti si potesse trovare, ancora una volta, la soluzione. Gli incarti si liberarono della timidezza e si riempirono di colori sgargianti; i disegni non si concentrano soltanto nella parte centrale, ma saranno dappertutto; cambiano anche i materiali: carta velina, cellofan, carta lucida… Sempre con il proposito di attirare l’attenzione del consumatore.
I temi degli incarti
Mentre il primo bicchiere di whisky scendeva per la gola del Don Draper di turno, lontani dagli uffici di Madison Avenue, una manciata di produttori siciliani di arance andava dal bozzettista per decidere quale disegno mettere sopra queste veline. A cosa ispirarsi?
Romana Gardani, collezionista parmense, che ha più di 36.000 pezzi di incarti, spiega: “All’inizio si ispiravano al territorio. Immagini che potevano dare un’idea riconoscibile della Sicilia e della qualità delle sue arance riscaldate dal sole”.
Il riferimento è ai campi di agrumi, contadine con le arance in testa, carretti siciliani, e naturalmente, il fumante Etna. Ed è ovvio che una terra benedetta dagli dei non poteva fare a meno di Bacco, Venere o Nettuno.
Per Gardani “la cosa più affascinante è il come la grande storia scende su questi pezzettini di carta. Si fa riferimento ad avvenimenti storici, a personaggi famosi o agli oggetti che avevano più colpito l’immaginario collettivo”.
Dopo gli anni ’30 nulla sfuggirà a questi artisti: la guerra di Etiopia, lo Sputnik, la lotta dei partigiani, King Kong, la Vespa… Tutti quanti trovarono un posto sulla cartina delle arance.
Tra l’altro, si potrebbe tracciare un percorso attraverso la cultura visuale, dal cinema alla televisione e persino dall’evoluzione del costume femminile, dalla nascita della minigonna, al bikini oppure alle calze di nylon. Infatti, questi avvenimenti sono l’unico modo con cui si può riuscire a datare gli incarti.
I disegnatori non si fermavano e insieme ai produttori tentavano di soddisfare le nuove domande del consumatore. Inventarono nuovi disegni e strategie per aumentare le vendite e fidelizzare il compratore.
Una di queste strategie, ad esempio, fu mettere delle fiabe a puntate sugli incarti, come quella del naufrago Robinson, per convincere le mamme a ricomprare le arance del medesimo produttore.
Altri incarti servivano come una specie di guida turistica. Dal momento che uno dei grandi destinatari delle arance siciliane era la Germania, un disegnatore mise dei fumetti in cui Topolino spiega ai compratori tedeschi le bellezze dell’Italia.
Ma chi erano questi disegnatori? Per Gardani sono “i grandi dimenticati di questa storia”. Anche se lei è riuscita a individuarne qualcuno “Nel 99% dei casi non firmavano il loro lavoro. Venivano pagati a bozzetto e poi la tipografia stampava tutte queste migliaia di foglietti anonimi”.
Ovviamente non tutti i disegni sono capolavori. “Pensiamo che questo è un tipo di marketing promozionale molto particolare. I produttori non avevano tante risorse e dovevano farsi pubblicità con gli strumenti e i fondi che avevano a disposizione. Allo stesso modo in cui si trovano disegni molto curati, ce n’erano altrettanti che di accattivante avevano ben poco. Quindi, probabilmente per spendere meno, il produttore commissionava il disegno a qualcuno che costava poco”.
Collezionare la bellezza
Una miglior refrigerazione nel trasporto, una buccia più resistente ottenuta attraverso ibridi e i costi di imballaggio, fecero sì che l’arancia non avesse più bisogno di essere protetta.
Tra le tante tipografie che hanno prodotto incarti, il collezionista Claudio Guardazzi, ricorda, per la qualità e la bellezza delle loro stampe, la Fabbri di Modena o la F.lli Manganaro di Catania, che ancora sopravvive oggi.
Guardazzi lamenta che quest’arte povera stia morendo. Per lui è tutto un mondo che scompare. “Non solo gli incarti, ma anche i copricassette finemente merlettati”, di cui lui è anche collezionista. Per non menzionare mestieri associati come la figura dell’incartatrice e del traforatore di stampini per incarti.
Tuttavia, il fatto che persone come Claudio o Romana conservino questo pezzo di storia ci fa capire come il fascino per la bellezza degli incarti non si sia spento. Infatti, è stata proprio questa bellezza il motivo che ha spinto entrambi a conservarli ancora oggi. Non sono gli unici. Anche in Spagna ci sono collezionisti che proteggono con cura questo fragile patrimonio, come racconta Rosa Molinero.
Che sia per sensibilità, nostalgia o per quell’impulso irrazionale che ci fa appropriare di ciò che è bello, dobbiamo ringraziare loro se questo patrimonio non è finito nella pattumiera. Anzi, gli incarti sono persino usciti dalle case e hanno trovato la loro strada per arrivare anche al museo.
Questo ibrido fra marketing e arte ha catturato l’interesse del fotografo Ando Gilardi – la cui collezione si può ammirare in mostra nel MAST bolognese fino gennaio-, ed è stato in mostra presso il Victorian and Albert Museum di Londra due anni fa.
Ormai l’arancia non si avvolge né si offre più come regalo. Si compra, si mangia e basta.
Ora la vediamo spogliata delle sue attiranti veline, esposta nella sua rotonda carnalità nelle bancarelle dei mercati, senza nemmeno farci arrossire.
Ma almeno ci farà ricordare che dietro quello che mangiamo si nasconde sempre un’altra storia.