L’industria del cioccolato vale una roba come 130 miliardi di dollari (2020) e dipende da un solo ingrediente: il cacao.
Gli Europei amano follemente il cioccolato, così tanto che ne sono i maggiori consumatori al mondo, addirittura il 48% di tutto il prodotto in commercio viene mangiato nella sola Unione Europea. Seguono l’America settentrionale (24%), Asia (15%) e infine l’America Latina (9%).
E l’Africa? Nel continente si trova il 73% delle coltivazioni di cacao mondiale, eppure nel mondo distopico in cui viviamo questo è il posto in cui se ne consuma solo il 3%. Più prosaicamente, la maggior parte di chi si ammazza di lavoro nelle piantagioni di cacao non ha nemmeno una vaga idea di che gusto abbia una tavoletta di cioccolato.
La filiera del cioccolato
Il cioccolato piace più o meno a tutti, eppure la sua filiera è dolceamara, come una barretta di fondente al 70%. Sul percorso della filiera del cioccolato c’è tanta deforestazione, tanta ineguaglianza e tanto sfruttamento minorile.
Logica vorrebbe, infatti, che dipendendo tutto dalle fave di cacao prodotte dagli agricoltori in Africa e America Latina, questi abbiano il potere di decidere il prezzo del cacao. Inutile dire che non sia così.
Molti coltivatori di cacao guadagnano meno di un dollaro al giorno; non c’è bisogno di numeri, ma per darvi un’idea la Banca Mondiale ha fissato la soglia per la povertà estrema a 1,90 dollari al giorno. I coltivatori di cacao in Ghana guadagnano 1$ al giorno, mentre quelli in Costa d’Avorio guadagnano circa 0,78$ al giorno, entrambi significativamente al di sotto della soglia di povertà estrema.
Gli agricoltori spesso non sono in grado di sostenere i costi della coltivazione del cacao a causa dei bassi redditi. Per ovviare, impiegano forza lavoro minorile a bassissimo costo.
Cosa vuol dire cioccolato sostenibile: certificazioni e tracciabilità
Negli ultimi anni abbiamo visto più consapevolezza a riguardo, con l’avvio di una conversazione sulle possibili soluzioni a questo quadro insostenibile. Organizzazioni come UTZ Certified, Rainforest Alliance e Fairtrade stanno lavorando per aumentare la tracciabilità nella catena di approvvigionamento vendendo “cacao certificato”, proveniente da fattorie che vietano il lavoro minorile.
Altromercato, in Italia, offre una soluzione etica vantaggiosa per i produttori e per tutta la filiera equosolidale: paghe eque, contratti duraturi, migliori condizioni di lavoro (con l’eliminazione della manodopera minorile), empowerment dei produttori, coltivazione sostenibile e così via.
Il cioccolato sostenibile da laboratorio
A Zurigo, invece, il futuro è già arrivato e lo dimostra il primo cioccolato coltivato in laboratorio, a partire da fave di cacao e senza il rischio di danneggiare l’ambiente o sottopagare i produttori. La Zurich University of Applied Sciences (ZHAW) ha un team di ricercatori che crede in uno scenario in cui il cioccolato non deriverà più solo dal cacao attualmente coltivato specialmente in Africa e America Latina (e Belgio, paese teoricamente non adatto alla sua produzione), ma anche dalla riproduzione di cellule. La produzione del cioccolato coltivato in laboratorio inizia con l’estrazione sterile di una fava di cacao, che viene tagliata in quarti. Ciascun segmento viene quindi incubato in un ambiente buio, utilizzando un terreno appositamente sviluppato.
Come si sviluppa il cacao in laboratorio
Ciò fa sì che un materiale simile a una crosta cresca sulla parte tagliata del fagiolo. Dopo circa tre settimane, quel materiale viene raschiato e messo in un bioreattore per moltiplicarsi. Una volta completato il processo di moltiplicazione nel bioreattore, viene drenato e il materiale al suo interno viene essiccato e tostato. A quel punto, si ottiene una polvere che può essere mischiata con altri ingredienti per produrre tavolette di cioccolato.
Il cioccolato coltivato in laboratorio è una realtà, ma ha ancora bisogno di tanta sperimentazione. Prima di tutto, il gusto non è fedele a quello a quello di una classica tavoletta, essendo meno amaro e più fruttato; poi c’è il problema comune a tutto il cibo lab-grown, ovvero la scalabilità. Una tavoletta di questo cioccolato costa infatti ancora 20 dollari, in confronto ai 3$ del cioccolato comune.
Se i ricercatori riusciranno a perfezionare il loro cioccolato coltivato in laboratorio, un giorno potrebbe fornire agli amanti del cioccolato una gustosa alternativa alle barrette tradizionali, ma non le sostituirà mai, come afferma anche il ricercatore Tilo Hühn della ZHAW.
L’idea è grandiosa ed esaltante, ma andrà incrociata ad altre strategie. Che senso avrebbe, infatti, trovare una soluzione al problema dello sfruttamento dei produttori di cacao, andando a rendere totalmente obsoleto il loro lavoro e i loro frutti?