Hibakujumoku. È il termine con cui, in Giappone, vengono definiti gli alberi che sono stati esposti alle radiazioni della bomba atomica di Hiroshima e Nagasaki e che sono sopravvissuti germogliando nuovamente a partire dalle radici. Oltre a raccontarci la grande capacità di rigenerazione del regno vegetale, questi alberi si dimostrano molto più resistenti di come spesso li percepiamo noi umani. Tra le numerose specie di Hibakujumoku, si trovano anche alberi da frutto. Uno tra tutti, il kaki, più comunemente chiamato cachi, in Italia.
Originario dell’Asia meridionale, l’albero del cachi ha una storia millenaria ed è entrato spesso nell’iconografia popolare d’Oriente perché definito l’albero delle sette virtù: per la sua grande resistenza, per la capacità di offrire riparo agli uomini o agli uccelli che vi nidificano, per la qualità della sua legna e la particolare attività delle foglie che, con la loro ricca caduta, concimano abbondantemente il terreno.
Cachi in Italia
In Italia, l’albero di cachi arriva alla fine del 1800 e si acclimata subito bene in regioni vocate alla frutticoltura come il meridione, con la Campania e la Sicilia, ma anche più a nord con l’Emilia-Romagna. La campagna italiana si popola, nel tempo, di questi alberi iconici per la caratteristica ricchezza di frutti autunnali che campeggiano su rami ormai privi di foglie.
Oggi siamo al nono posto tra i produttori di cachi al mondo, con una produzione di oltre 47.000 tonnellate (secondo i dati FAO del 2018). Siamo anche il Paese, purtroppo, che spesso lascia marcire i cachi sugli alberi lungo le strade di campagna, favorendo lo spreco alimentare.
Ma tra tutti questi frutti raccolti e non, ci sono alcune varietà locali da conoscere assolutamente.
Cachi Italiani: quelli di Misilmeri
Misilmeri è un comune subito fuori la città di Palermo, che rientra in parte in quella porzione di territorio che viene definita la Conca d’Oro, perché un tempo area dedicata ad agrumeto, in particolare alla coltivazione dei limoni.
Questa cittadina è un tipico borgo siciliano che però si è fatta conoscere per i suoi cachi particolarmente saporiti. I cachi italiani di Misilmeri, infatti, sono inseriti nell’elenco delle PAT (Prodotti Agroalimentari Tipici) redatto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.
Arrivato in queste zone come pianta ornamentale per l’orto botanico aperto nel 1692, è diventato albero da coltivazione solo intorno al 1930, diffondendosi come cultivar Farmacista Honorati al quale si sono nel tempo avviate pratiche colturali tipiche, come la raccolta pre-ammezzimento.
La maturazione dei cachi Misilmeri
Il cachi è un frutto climaterico, che riesce a proseguire la maturazione anche dopo il distacco dall’albero. A Misilmeri, la raccolta avviene a frutto ancora acerbo, con la polpa verdastra. Tutti i frutti vengono poi posti in cassoni coperti, per avviare l’ammezzimento, il processo naturale di maturazione e imbrunimento della polpa del frutto.
Cultivar e tecniche speciali hanno lasciato esprimere caratteristiche tipiche in questi frutti. Colore rosso-arancio, una polpa deliquescente (la consistenza tipica delle varierà di cachi morbidi) dal sapore molto dolce e sentori vanigliati, fanno del cachi di Misilmeri, una golosità naturale che genera lo stesso piacere di un dessert di pasticceria.
Se passate dai mercati di Palermo e volete comprare dei cachi, ricordatevi di aggiungerci un accento: cachì, in siciliano.
Da segnalare tra le varietà siciliane, anche quella del kaki acese, una varietà poco nota ma estremamente caratteristica che fornisce frutti particolarmente dolci e di dimensioni ridotte, tipica delle zone di Acireale, nel catanese.
Cachi vaniglia o cachi napoletano
La Campania è stato uno dei primi territori ad accogliere il cachi italiani e, con la zona dell’agro nocerino sarnese (l’area che si trova a metà strada tra Napoli e Salerno), è anche tra i primi ad avere avviato la coltivazione dei cachi a scopo commerciale, con 1.700 ettari già registrati nel 1929, diventatati 15.000 già nel secondo dopoguerra. Oggi in tutta la regione si conta una larga produzione di cachi, in particolare nella provincia di Napoli che si è specializzato nella coltivazione di cachi napoletano o cachi vaniglia.
Nel gergo popolare campano, il cachi viene chiamato legnasanta, perché secondo la tradizione, la sezione interna del frutto tagliato verticalmente, mostrerebbe la figura del Cristo in croce. Che lo vediate o meno, vi converrà abituarvi al termine nel caso voleste comprare dei cachi al mercato da queste parti.
Le caratteristiche dei cachi italiani campani
A differenza del cachi di Misilmeri, il cachi napoletano viene lasciato maturare sull’albero. Ne segue una raccolta che deve essere manuale, per non danneggiare i frutti, quindi meno vantaggiosa dal punto di vista commerciale. Anche per questo, negli ultimi anni si assiste a una riduzione del terreno destinato a questa cultivar.
L’area d’elezione sembra però rimanere quella vesuviana, che pare conferisca caratteristi uniche ai frutti. Forma più schiacciata e buccia sottile di colore, a maturazione completa, arancione carico. La polpa è di colore bronzo scuro, simile al colore della buccia, succosa e con presenza di semi. Il gusto è zuccherino e pieno.
Non è facile capire se i cachi che acquistiamo siano tra le varietà citate o altre più comuni, ma possiamo sempre informarci sulla provenienza, per avere un’idea sul tragitto percorso dal frutto e per capire se deriva da un’area di elezione o meno.