Una rivoluzione verde può suonare in due modi diversi: un cambiamento epocale o un’astuta operazione di greenwashing. Se poi la compie una guida gastronomica nota in tutto il mondo come “la Rossa” il dubbio non può che aumentare. Nella sua edizione 2021 la Guida Michelin ha annunciato la creazione di una stella verde che premia i ristoranti sostenibili. Una scelta sorprendente per una guida che, quando si trattava di selezionare i ristoranti meritevoli di segnalazione, non ha mai tenuto in particolare considerazione (per non dire che non li ha minimamente considerati) il fattore etico o quello ambientale.
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Ma mentre sempre più ristoranti in tutto il mondo intraprendono una svolta vegetale – un movimento questo trainato soprattutto dalla Scandinavia, come possiamo ben vedere in Danimarca – e il cambiamento climatico mostra le sue (sempre più preoccupanti) conseguenze era inevitabile porsi qualche domanda. Perfino per la Michelin, famosa per mantenere ben saldo il timone delle sue scelte anche quando sembrano assurdamente conservatrici.
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In tutto il mondo i ristoranti premiati sono 289, non tutti necessariamente dotati di una, due o tre stelle. E in Italia? Andiamo a vedere chi l’ha conquistata e perché. Il Caffè La Crepa di Isola Dovarese (Cremona) usa prodotti a chilometro zero (non a caso è un’eccellenza della Guida Osterie Slow Food) ed è dotato di un service point per biciclette per incentivare il trasporto green. Casa Format di Orbassano (Torino) è autosufficiente dal punto di vista energetico e ha il proprio orto. Lo chef del D’O di Cornaredo (Milano), Davide Oldani, si impegna da anni in una cucina che sprechi il meno possibile. Sempre a Milano il Joia è stato il capostipite della cucina vegetariana e dei menu degustazione senza carne.
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La Lanterna Verde di Villa Chiavenna (Sondrio) è dotata un particolare sistema idroelettrico e una centrale termica a pellet per il riscaldamento e l’acqua calda. Il Lazzaro 1915 a Pontelongo (Padova) si impegna fortemente nella sostituzione della plastica in cucina mentre I’cioco di Suvereto (Livorno) fa parte di un’azienda agricola che usa il proprio mulino a pietra per molire i propri grani biologici. Il Virtuoso Gourmet della Tenuta Tre Virtù vicino Firenze ha una propria azienda agricola, animali da cortile, olive e piante da frutto nonché un impianto di geotermia per il riscaldamento e un impianto fotovoltaico per l’energia.
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Nella lista ci sono altri chef parecchio noti: al Don Alfonso 1890 (Sant’Agata sui Due Golfi, Napoli) conducono da 30 anni un’azienda bio e hanno avviato il programma zero waste – la loro raccolta differenziata raggiunge il 95%. Anche Dattilo a Strongoli (Crotone) è un ristorante stellato di gestione familiare che si basa sulla propria azienda agricola ed è al 100% indipendente a livello energetico grazie a un impianto fotovoltaico.
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Norbert Niederkfler, lo chef del St. Hubertus di San Cassiano, nelle Dolomiti altoatesine, ha creato il progetto ‘Cook The Mountain’ basando la sua cucina solo su prodotti altoatesini. Quanto a Massimo Bottura dell’Osteria Francescana di Modena, ha fondato l’ormai celeberrimo Food for Soul, in cui refettori in tutto il mondo cucinano con le eccedenze per persone con vulnerabilità.
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Come ci sembra questa lista? Per certi versi breve, per altri lunga. Mancano indubbiamente numerosi ristoranti che a noi piacciono per il loro lavoro quotidiano a favore della sostenibilità. E altri nomi sembrano messi lì quasi per dovere: non che gli chef non abbiano avviato progetti e discussioni importanti su tematiche come lo spreco o i prodotti locali, ma quanto sono poi sostenibili le loro attività, all’atto pratico? Uno chef molto critico della stella verde era stato Puglisi del Relæ di Copenaghen che sui social aveva espresso il suo disappunto, sostenendo che non ci fossero reali controlli da parte della Michelin, e che l’idea di cucina promossa dalla Guida era inerentemente non sostenibile e orientato allo spreco. È difficile dargli torto.
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Di recente però ci è capitato di parlare della stella con lo chef Antonello Sardi della Tenuta Tre Virtù: “La sostenibilità è il modello del futuro, sia per la cucina che per tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana. Sicuramente la mia attenzione è aumentata da quando sono diventato padre, pensando a come dare il mio contributo affinché le risorse attuali potessero essere mantenute il più a lungo possibile per i bisogni delle generazioni future.” È raro sentire uno chef che in un’intervista parla di bisogni delle generazioni future o di modelli di sviluppo sostenibile. Forse la stella verde della Guida Michelin è solo un’operazione di facciata. Ma non è da escludere che un’influenza positiva e virtuosa, sulla cucina italiana e su quella internazionale, l’avrà comunque.