La prima volta che sono andata in Sardegna ero troppo piccola per ricordarmelo. Da allora ci ho passato quasi tutte le estati quando ero piccola. Della Sardegna si conoscono le spiagge paradisiache e i mari cristallini, la campagna selvaggia e i borghi pittoreschi, ma una cosa che invece è sicuramente poco conosciuta è la cucina, che viene sempre assimilata al porceddu e poco più, una gastronomia carnivora e poco elaborata. In realtà la cucina sarda è molto più varia e ricca di sfumature di quanto immaginiamo — e anche ben più vegetale di quanto pensiamo. Da ricordare poi come il porceddu sia una ricostruzione folklorica a uso e consumo dei turisti piuttosto che una vera e propria tradizione: come racconta Michela Murgia in Viaggio in Sardegna la cottura del maialino da latte sotto il terreno veniva fatta per nascondere il furto degli animali dai vicini.
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Va prima di tutto fatta una doverosa distinzione tra la cucina delle coste, basata principalmente e per ovvi motivi sul pesce, e quella contadina. Quest’ultima è sì ricca di piatti a base di frattaglie e carne di pecora, ma propone anche numerose specialità vegetariane. Quando si parla di “tradizione” poi va sempre tenuto a mente che il concetto applicato alla cucina è quanto mai vago e farraginoso e che fino a qualche decennio fa la carne era un lusso riservato ai giorni di festa. Dopotutto se la Sardegna è Zona Blu, una delle aree al mondo in cui l’aspettativa di vita è più lunga, l’alimentazione giocherà un ruolo fondamentale — o meglio pare che lo faccia il semivegetarianesimo, unito ad altri fattori, comune a tutte queste aree.
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La pasta sarda
La tradizione della pasta fresca in Sardegna è particolarmente generosa. I culurgiones sono ravioli tipici dell’Ogliastra ripieni di patate, menta, pecorino e occasionalmente ricotta che possono venire conditi con un sugo di pomodoro fresco e basilico, ben riconoscibili per la chiusura, detta sa spighitta in sardo. I malloreddus sono dei piccoli gnocchetti (il nome vuol dire ‘vitellini’, perché malloru è il toro) diffusi in quasi tutta l’isola e preparati con farina di semola e acqua. Se li avete sentiti nominare è probabilmente per il loro condimento a base di salsiccia ma è molto diffusa anche la versione Casu Furriau con solo formaggio fuso e zafferano.
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Molto popolare anche la fregola, pasta secca di semola di grano duro che viene lavorata a piccoli grumi e condita in vari modi, tra cui il pesce o il brodo di carne — ma ne esistono anche versioni asciutte con verdure o pomodoro e basilico. Qui potete vedere il procedimento per prepararla, un affascinante esempio di manualità sapiente, tramandata di generazione in generazione. Ovviamente ogni regione storica della Sardegna (che, come spiega la Murgia, spesso non coincide con la provincia di appartenenza) ha le sue usanze in fatto di alimentazione: qui stiamo facendo una generalizzazione sperando comunque vi serva per farvi un’idea della ricchezza della cucina sarda.
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Pani di Sardegna
Il pane è forse una delle specialità gastronomiche più peculiari della Sardegna e uno degli elementi fondamentali della cucina sarda vegetariana. Celeberrimo il pane carasau, sottilissimo e croccante, usato per preparare piatti come la zuppa gallurese (o suppa cuata) con formaggio (meglio se casizolu), spezie e pecorino, ammollati nel brodo e cotti in forno. O ancora il pane fratau, strati di pane carasau disposti a strati con pecorino grattugiato, salsa di pomodoro e uova in camicia. Più difficile da trovare (a meno che non si vada in forni o pasticcerie specializzate) ma splendido è il coccoi a pitzus — più che un pane, un’opera d’arte, farina di semola di grano duro che viene impastata in forme particolari come il cavallo o la melograna. A volte non si mangia nemmeno ma si espone in occasioni speciali come i matrimoni.
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Cucina sarda vegetariana: i formaggi sardi
Sui formaggi la Sardegna ha pochi rivali, grazie alla sua lunga e radicata cultura della pastorizia. La maggior parte dei prodotti caseari dell’isola è infatti a base di latte ovino. Oltre al classico Pecorino Sardo DOP (riconosciuto con la denominazione d’origine già nel 1991) e il Fiore Sardo DOP ci sono formaggi ben più particolari che meritano l’assaggio — anche se alcuni sono destinati solo ai più coraggiosi. Per brevità ne citiamo solo due ma un giro tra pastori e agriturismi è un’esperienza caldamente consigliata.
Il Callu de Crabittu si crea a partire dai residui dell’ultima poppata di latte, chiusi nell’abomaso del capretto, fatti cagliare e stagionare. Si mangia spalmato sul pane e c’è chi dice sia il formaggio più antico del mondo. Il Casu Marzu è il ‘formaggio con i vermi’: una mosca depone le uova dentro il formaggio e le larve si nutrono del formaggio e ne modificano il sapore. L’Unione Europea ne ha vietato la produzione e la commercializzazione per la sua pericolosità ma non è difficile trovarne versioni ‘casalinghe’ che chi produce sarà ben felice di farvi assaggiare.
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I dolci sardi
Concludiamo con i dolci, oh!, i dolci sardi. Un capitolo glorioso. Nel Sulcis e nel Campidano si mangiano le Pardulas, torte in miniatura ripiene di ricotta, aromatizzate con zafferano e agrumi, tradizionalmente mangiate per Pasqua e ora diffuse tutto l’anno (uno dei miei ricordi più nitidi delle mie estati d’infanzia in Sardegna). Le Pabassinas sono biscotti romboidali con l’uvetta che no, non hanno nessuna caratteristica distintiva, ma sono così belle con la loro glassatura che mi mettono allegria solo a guardarle. Qui una ricetta per riprodurle a casa.
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Le Sebadas invece sono dischi di farina e strutto ripieni di formaggio fresco, fritte e servite con il miele. A proposito di miele, decisamente curioso l’abbamele, un decotto di miele e polline da consumare così com’è o insieme ai formaggi – nel caso non sappiate cosa portare a casa agli amici come souvenir. Qui un consiglio su come utilizzarlo in cucina.