In Italia il tamarindo è un perfetto conosciuto (o quasi), ma c’è da scommettere che tra non molto diventerà un must anche da noi. Le carte in regola non gli mancano, anzi. Ed è un frutto che, anche se non ce ne siamo accorti, sta entrando piano piano nella nostra alimentazione (insomma non è ancora ostica come la Monstera Deliciosa).
Le proprietà nutritive del tamarindo sono talmente tante che non basterebbero cinque articoli per elencarle tutte: meglio allora concentrarci su come usare il tamarindo in cucina per dare gusto e personalità ai piatti.
Tamarindo: la pianta
Prima però una veloce “fenomenologia del tamarindo”, giusto per dare una fisionomia alla pianta e al suo frutto. Si tratta di un albero sempreverde originario dell’Africa tropicale, oggi “naturalizzato” nel Nord e Sud America e in gran parte del continente asiatico: Cina, India, Pakistan, Java. In Europa si coltiva soprattutto in Spagna, ma anche un po’ in Sicilia. Il fusto raggiunge dimensioni decisamente importanti: può arrivare a 25-30 metri di altezza (sì, c’è scritto 30, non 3) superando i 5 di diametro. Il tamarindo viene soprannominato “dattero indiano” perché la pianta ricorda la forma della palma del dattero, mentre il frutto ne richiama il sapore.
Cos’è il tamarindo
E a proposito i frutti del tamarindo sono dei grossi baccelli legnosi di colore marroncino, simili a fagioli giganti. Dentro a ciascun baccello ci sono diversi semi e una polpa dolce, ma al tempo stesso un po’ acidula. Come tutti i frutti esotici, anche il sapore del tamarindo è un po’ complicato da definire, soprattutto per un palato occidentale come il nostro. Gli esperti utilizzano l’aggettivo muschiato.
Tamarindo: come si mangia fresco
Ma torniamo alla domanda iniziale: come usare il tamarindo in cucina. Una volta aperto il baccello, bisogna eliminare i semi (che possono essere piantati per dar vita a nuovi alberelli) e recuperare la polpa. Quest’ultima può essere mangiata così, in purezza, a patto che sia ben matura. Come capirlo? Dal colore, che deve essere marrone scuro, e ovviamente dal sapore, che in caso di frutto acerbo è eccessivamente aspro e allappante.
Usi del tamarindo in cucina
La polpa fresca e matura può essere aggiunta a una macedonia di frutta, per darle un tocco in più, o venire utilizzata come topping da servire sul gelato (scegliendo anche gusti cremosi come il cioccolato e il pistacchio). In alternativa potete abbinare la polpa di tamarindo a tartare e crudi di pesce. In questo caso meglio condirla con un pizzico di succo di limone e qualche cristallo di sale Maldon.
Salsa al tamarindo
La polpa può essere utilizzata anche per realizzare la salsa al tamarindo, una preparazione dal piacevole retrogusto agrodolce. In un pentolino unite: 250 g di polpa di tamarindo, 100 ml d’acqua, 1 cucchiaino di succo di limone, 1 cucchiaino di zucchero e, a piacere, 1 cucchiaino di aglio tritato. Portate ad ebollizione e lasciate addensare, sempre mescolando. La salsa al tamarindo è molto versatile e sta bene sulla carne, sul pesce e sulle verdure. Va ricordato che il tamarindo figura tra gli ingredienti di un’altra salsa famosa, la Worcester (anche se sarebbe più giusto dire Worcestershire). Prepararla non è esattamente una passeggiata, ma per chi vuole cimentarsi consigliamo la versione della blogger Nonna Paperina.
Ghiacciolo al tamarindo
Con l’arrivo della bella stagione, il tamarindo si trasforma in un dissetante ghiacciolo homemade. Per prima cosa preparate lo sciroppo al tamarindo. Portate a ebollizione circa 2 litri d’acqua e aggiungete 700 grammi di polpa di tamarindo, continuando la cottura a fiamma bassa per 10-15 minuti. Filtrate e aggiungete un paio di cucchiai di zucchero. Rimettete sul fuoco per almeno 30 minuti e poi fate raffreddare. Sistemate il liquido negli appositi stampini per ghiaccioli aggiungendo lo stecchino e mettete in freezer. Il colore del ghiacciolo al tamarindo è simile a quello alla coca cola.