L’agricoltore che coltiva il bambù in Toscana

Il bambù è una di quelle piante che richiamano alla mente certi gusti décor primi anni ’00. E in effetti lo troviamo molto più spesso come elemento decorativo che in un piatto come ingrediente, a meno che non abbiate viaggiato in Oriente o Sud Est Asiatico. Eppure c’è una piccola azienda biologica, nel cuore della Maremma Grossetana, che ha deciso di investire l’ettaro di terreno a propria disposizione per coltivare bambù italiano a fini soprattutto alimentari: Maremma che Bambù.

Approfittiamone per partire dalle basi: la dicitura corretta in italiano è “bambù”. La Treccani riporta che la parola deriva dal francese bambou, voce di origine malese o neoindiana, attraverso il portoghese bambu o mambu. “Bamboo”, scritto con due “o” alla fine, è invece la traduzione in inglese. L’introduzione del termine “bambù” in Italia risale ufficialmente al 1884 ed è attribuita al professor Orazio Fenzi, botanico di origini toscane.

Già da quei tempi, il bambù veniva utilizzato in Toscana dalla gente nobile per abbellire le proprie ville. E sempre in territorio Toscano, nello specifico nella zona di Lucca, si verificano i primi usi della pianta in campo alimentare, come soluzione alla penuria di cibo durante la Seconda Guerra Mondiale. Proprio in questo contesto si diffonde la raccolta di germogli di bambù e la loro trasformazione in prodotto sott’olio.

Bambù italiano da mangiare: la storia di Maremma che Bambù

Maremma che Bambù nasce proprio in Toscana, vicino a Pitigliano, frutto dell’idea lungimirante di Daniele Marroni. La sua storia è così toccante che mentre parlavo con lui al telefono mi stavo commuovendo (lui pure).
Marroni è nato in campagna da genitori che lavoravano la terra, imparando sin da piccolo che agricoltura significa sacrificio, dunque a 13 anni decide di non seguire la strada di famiglia, bensì di mettersi a fare il cameriere nei ristoranti.

La vita di campagna non gli è mai stata indifferente, lasciandogli sempre nella mente qualche traccia proustiana nella sua memoria, come il pollo ruspante e il vino novello, i suoi cibi food preferiti, ma l’idea di lavorare la terra proprio non faceva per lui. Fino a 12 anni fa. Aldo, suo “babbo”, muore nel 2009 e questo cambia profondamente la vita di Marroni, che nel frattempo era appena diventato padre per la prima volta.

“Per la mancanza troppo forte dovevo trovare un sistema per sentirmi più vicino a lui, dunque nel terreno di famiglia dove stava mio fratello, che non ce la faceva più ad andare avanti, abbiamo tolto le vigne e io ho chiesto se potevo fare un mio progetto,” racconta Marroni. “Quello di mettere il bambù, una cultura innovativa e versatile. Dunque ho messo in piedi un ettaro di coltivazione. Sono 5 anni e mezzo che l’ho messo a dimora e mi sto impegnando molto nella produzione. Inizio a vedere i risultati, soprattutto coi germogli, la confettura, la crema spalmabile bambù e carciofi, il ragù di bambù. Io non sono vegetariano e anzi mi piace molto accostare i germogli o le creme alla carne.”

Impiegare un ingrediente dalla consistenza così particolare è interessante anche per questo momento storico dei trend alimentari dei sostituti della carne, perché sempre più carnivori apprezzano prodotti che possano più o meno vagamente avere corpo e consistenza della carne, meno il senso di colpa conseguente. Ha un alto contenuto di proteine e vitamine (B1 e B6). Dice Marroni: “Mi piacciono la cucina cinese e giapponese e il loro uso del bambù, ma ho voluto scegliere il bambù soprattutto perché molto raro in Italia, e molto versatile. Ho dovuto fare gran parte della mia ricerca su internet.”

Il bambù viene raccolto tutto a mano, senza meccanizzazione, compreso sfoltimento e pulizia. Per avere una quantità e uno sviluppo sufficienti alla commercializzazione c’è bisogno di una decina d’anni e in genere le piante di bambù arrivano ai 15/18 m d’altezza. Per pulirlo va tolta la foglia esterna, pulito e infine scottato (tipo carciofo). Una coltura abbastanza laboriosa. Prosegue Marroni: “Il mio obiettivo è sorprendere. Perché coltivo piante che non sono ornamentali, ma da consumo. Vorrei allargare il progetto e organizzare passeggiate, degustazioni, letture dentro il bosco.”


Al momento per lui è ancora (quasi) un hobby, ma vorrebbe riuscire a dedicarsi totalmente alla campagna e al bambù e riutilizzare “tutte le cose del babbo. Il mio progetto più importante è ritornare, come diceva a lui, al ‘sacrificio che dà soddisfazione’, perché a fine giornata ti volti e guardi quello che hai fa?o. Da giovane guardavo solo ed esclusivamente con l’ottica dei soldi, ora vedo la soddisfazione per quello che faccio. Quando arrivi a 50 anni, scopri sempre che il babbo aveva ragione.”

Come si mangia il bambù?

Una ricetta italiana a base di bambù che Daniele mi ha consigliato, in qualità di implementazione di un piatto, è il cinghiale “a buglione”: si fa con pomodoro e sugo o olive, lui lo fa in bianco facendo marinare la carne un giorno intero con cipolla, sedano e vino bianco, più odori. Dopo averlo marinato, fa bollire le verdure per il brodo, poi mette il cinghiale in pentola a rosolare in olio e aggiunge il brodo di verdure dentro la pentola per cuocere il cinghiale. A metà cottura inserisce i germogli di bambù sott’olio scottati con aceto.

Infine, per i portatori sweet tooth, Daniele consiglia dei fagottini di pasta sfoglia ripieni di morbido stracchino e marmellata di bambù.