I migliori chef. I migliori ristoranti. I migliori camerieri. I migliori sommelier. Sembra che guide, liste, classifiche e premi tengano sempre e solo conto di chi lavora nella cucina o nella sala di un ristorante, senza mai tenere conto di chi viene prima nella filiera del cibo. Agricoltori, allevatori, produttori. Ma anche imprenditori del food tech, attivisti della sostenibilità. Il mondo gastronomico sta venendo plasmato anche da queste figure che, soprattutto nei prossimi anni, potrebbero avere un ruolo sempre più importante, ma tendenzialmente lo fanno nell’ombra, senza i luccichii, i tappeti rossi e, purtroppo, lo stipendio degli chef.
In questa prospettiva 50 Next è un enorme segnale di cambiamento. L’iniziativa dei World’s 50 Best e del Basque Culinary Center intende celebrare i protagonisti del cambiamento del food da un punto di vista diverso di quello della ristorazione. Nella lista vediamo cinquanta under 35: 24 donne e 19 uomini da Africa, Asia, Caraibi, Europa, America Latina, Medio Oriente, Australasia, Stati Uniti. Numeri che mostrano un grande impegno anche nella promozione della biodiversità, abbastanza sorprendente se si pensa che viene da una classifica, la World’s 50 Best, che in passato è stata più volte accusata di avere una visione europeista, americanocentrica e soprattutto maschilista, che relegava le donne chef nei posti bassi della classifica per poi dare loro il “contentino” di un premio dedicato.
50 next: perché è importante
Ovviamente non si tratta di premiare il migliore, bensì di dare visibilità a ragazzi da tutto il mondo che si stanno impegnando attivamente per un futuro del cibo sostenibile, solidale e resiliente. Con questo non si vuole in alcun modo sminuire il lavoro degli chef, ma semplicemente spostare un po’ i riflettori. In un mondo della gastronomia ancora duramente provato dalla pandemia, e di fronte a rivoluzioni globali in atto come il climate change, non si può continuare a considerare il cibo solo come piacere, svago, creatività e divertimento. Il cibo può e deve essere motore di cambiamento.
Associazioni come Slow Food si impegnano da anni a parlare di come il buono debba andare sempre di pari passo con il pulito e il giusto. La lezione però non è stata recepita così profondamente e diffusamente come avrebbe dovuto. E prima di considerare campione di sostenibilità uno chef che usa cannucce di bambù e non di plastica dovremmo dare un occhio a cosa fanno i ragazzi della 50 Next.
La lista 50 Next
L’elenco è diviso in sette categorie: Gamechanging Producers, ovvero contadini, artigiani e produttori che “danno energia alla filiera in modi innovativi”; Tech Disruptors, che usano la tecnologia “per risolvere problemi legati a food&drink; Empowering Educators, “menti creative” che trasformano la società attraverso educazione e apprendimento; Entrepreneurial Creatives, “menti visionarie” che mscolano arte, cultura e creatività culinaria; Science Innovators, biologi, ingegneri e inventori; Trailblazing Activists, ovvero gli attivisti che spingono per cambiare la società attraverso egualità, diversità un “cambiamento positivo nella gastronomia”; e Hospitality Pioneers, forse la categoria più ‘classica’, con chef e bartender.
Consigliamo di vedervi il video e leggervi la classifica completa dei 50 Next, ma intanto possiamo darvi un piccolo scorcio della straordinaria (bio)diversità della lista, che apre nuove prospettive per il futuro della gastronomia. C’è Manuel Choqque, contadino di quarta generazione delle Ande peruviane che, dopo aver studiato ingegneria agricola, ha recuperato varietà antiche di patate, riuscendo anche a creare un vino fatto solo con i tuberi. Matias Muchnick, che ha fondato una compagnia che prova a replicare i prodotti da derivati animali con sostituti plant-based,come il NotMilk, un latte vegetale che usa il 92% in meno di acqua e il 74% in meno di energie e produce il 74% in meno di emissioni di anidride carbonica del latte ‘normale’.
Maya Terro ha creato FoodBlessed, che prende gli avanzi di supermercati e produttori e li trasforma in pasti per le persone che ne hanno bisogno in Libano, dove il 60% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Mentre Cherrie Atilano cerca di creare modelli sostenibili di agricoltura nelle Filippine per aumentare l’autosufficienza alimentare di alcune isole – e lo fa mettendo le donne al centro del movimento per lo sviluppo rurale. Anche Maureen Muketha mette le donne al centro del suo progetto: a soli 25 anni ha fondato un’organizzazione che insegna alle donne kenyane a nutrire la loro famiglia con prodotti locali, e soprattutto a sviluppare alcune coltivazioni anche in aree molto secche.
C’è anche un italiano, Gian Marco Viano, che dopo una carriera internazionale nel mondo della sommellerie si è trasferito a Carma, un borgo montuoso in Piemonte, mettendosi a fare vino con tecniche sostenibile.