Un proverbio anglosassone recita più o meno così: se ogni bugia sapesse di aglio, sulla terra non si potrebbe respirare. English humour a parte, la massima è pressoché inconfutabile: l’aglio è quel che potremmo definire un portatore sano di sigletudine.
Sano, perché è un antibatterico fenomenale e uno scrigno di proprietà per l’organismo (chi vuole approfondire può leggere l’ebook di Elena Bortolini “Curarsi con l’aglio”).
Ma l’inconfondibile fiatella (ho cercato altre parole più soavi, non me ne sono venute in mente) che segue un pranzo o una cena con una generosa dose d’aglio non è esattamente propiziatorio a situazioni romantiche. Gli estimatori dell’aglio – e ce ne sono molti più di quelli disposti ad ammetterlo – hanno imparato il trucco: basta mangiare gli stessi piatti quando si è in coppia. Fiatella annulla fiatella. Vale il terzo principio della dinamica: due forze uguali e opposte si elidono reciprocamente.
10 varietà di aglio italiano
Le varietà italiane di aglio sono tantissime e pregiate, anche se purtroppo alcune di loro stanno via via scomparendo perché sempre più confinate ad un uso locale. In generale la macro-divisione è per colori: l’aglio bianco è il più forte di tutti sotto il profilo aromatico, il rosso risulta il più piccante, mentre il rosa più delicato. Ma, come vedremo, ci sono un paio di eccezioni che confermano la regola. Ecco allora una panoramica di 10 varietà italiane di aglio per orientarsi meglio nella scelta.
Aglio di Voghiera Dop
Nel Ferrarase l’aglio di riferimento è quello di Voghiera Dop, che può essere coltivato solo in cinque comuni della provincia: oltre a Voghiera, Masi Torello, Portomaggiore, Argenta e la stessa città di Ferrara. Piuttosto diffuso a livello nazionale, è l’aglio adatto anche a chi non ama l’aglio, nel senso che ha un aroma piuttosto dolce e delicato. La sua storia è antica: furono i duchi Estensi, signori di Ferrara, a incentivarne la coltivazione verso la metà del Quattrocento. Destinazione privilegiata? I banchetti di corte. Evidentemente allora il fiato “pesante” non costituiva un problema.
Aglio bianco piacentino Igp
La provincia di Piacenza, invece, si è guadagnata l’Igp per il suo aglio bianco. La produzione è “esplosa” negli ultimi trent’anni, anche grazie a una quota crescente di export, e oggi le varietà ammesse nel disciplinare (Ottolini e Serena) occupano circa il 10% della superficie totale nazionale coltivata ad aglio, con un volume di circa 3 mila tonnellate annue. C’è chi lo definisce il re dell’aglio perché riunisce ottime caratteristiche di conservabilità aromaticità.
Aglio bianco polesano Dop
Un prodotto Dop che si distingue per il colore bianco lucente, il profumo delicato e l’aroma non pungente, ma persistente. Le sue caratteristiche gli vengono dal terreno alluvionale in cui cresce ma anche e soprattutto dalle tecniche di coltivazione, tramandate di generazione in generazione. La sua importanza per il territorio – siamo in provincia di Rovigo – si capisce anche dal suo soprannome: “oro bianco del Polesine”.
Varietà di aglio italiano: Vessalico
Vessalico è un piccolo centro dell’Alta Valle Arroscia, entroterra di Albenga. L’aglio che porta il suo nome, tutelato dal Presidio Slow Food, ha un colore bianco-rosato. L’aroma è fine e leggero, tutto il contrario del carattere dei pochi ma tenaci agricoltori, che si ostinano a coltivarlo nei loro minuscoli appezzamenti abbarbicati alla montagna. La fedeltà all’antica tecnica di coltivazione va di pari passo a quella del confezionamento. Si tratta delle “reste”, le lunghe trecce di aglio che ancora si scorgono ogni tanto nei mercatini e sui balconi delle case di campagna. Una curiosità: questa operazione può essere fatta solo la mattina presto o la sera, perché le teste d’aglio risultano più umide e le foglie non rischiano di spezzarsi. Nota culinaria: il vero pesto alla genovese si fa con l’aglio di Vessalico.
Aglio rosso di Nubia
C’è chi lo chiama aglio di Paceco, chi aglio di Trapani, ma la versione più comune è aglio di Nubia, che poi non è nient’altro che una frazione di Paceco, che sta nel Trapanese. Questa varietà dal colore rosso porpora a inizio Millennio rischiava di sparire, ma un gruppo di produttori appassionati è riuscito a farla riconoscere come Presidio Slow Food e ora sta cercando di ottenere anche la Dop. L’alto livello di allicina dona un sapore particolarmente intenso, che ben si adatta alla tavola siciliana. La tradizione imponeva di confezionare “trizze” (trecce) molto grandi, con almeno 100 bulbi. Oggi per esigenze di mercato ci si ferma a 10-50 bulbi e nel 2009 è stato brevettato il formato mignon del canestrino.
Aglio di Resia
Siamo in Friuli, al confine con l’Austria e la Slovenia: la Val di Resia, lungo le Prealpi Giulie, sale fino alle pendici del Monte Canin. La piccola comunità locale, ancora oggi piuttosto isolata geograficamente, proprio a causa di questo isolamento ha potuto conservare un grande patrimonio di biodiversità come appunto l’aglio (localmente detto strok), il fagiolo e il mais resiano. Il suo colore rosato ne rispecchia il sapore: dolce e lieve, per nulla invadente.
Varietà di aglio italiano: Caraglio
Caraglio è situato nella zona pedemontana della Valle Grana e la vicinanza alle Alpi crea le condizioni climatiche perfette per la produzione di un aglio di piccole dimensioni e dal sapore delicato, che risulta molto digeribile. Proprio quello che serve per preparare i deliziosi, ma in effetti piuttosto pesanti, intingoli della cucina tradizionale regionale, dalla bagna cauda al bagnetto verde.
Aglio rosso di Sulmona
Se i confetti di Sulmona sono rosa, l’aglio locale è di un bel rosso color vinaccia. Le dimensioni dei bulbi sono decisamente grandi, tra i 50 e 70 mm. Un’altra caratteristica dell’aglio di Sulmona è la maturazione precoce, così come la presenza dello “scapo florale” che spunta verso maggio in pianta. Ricorda una specie di asparago (che però sa delicatamente di aglio) e viene venduto sia fresco che trasformato nei caratteristici crastatelli sottolio.
Dalla calabria l’aglio rosa di Nicastro e Papaglionti
In Calabria, terra dell’nduja, non poteva che nascere un aglio con una certa piccantezza: è quello di Papaglionti, un comune in provincia di Vibo Valentia. La regione è famosa anche per un’altra piccola produzione: l’aglio rosa di Nicastro, che cresce nei dintorni di Lamezia Terme (Catanzaro). La sua fama era già nota in epoca borbonica, tanto che Ferdinando II, Re delle due Sicilie, nel 1826 promulgò un decreto per allungare di due giorni la locale Fiera di San Pietro e Paolo in cui l’aglio rosa di Nicastro veniva impiegato in abbondanza durante i banchetti. Anche in questo caso, verrebbe da dire, noblesse oblige.
Antico aglio dell’Ufita
Chiude la carrellata l’antico aglio dell’Ufita, che prende nome da un fiume che scorre lungo l’Appennino campano, in provincia di Avellino. La sua coltivazione sembra risalire già all’epoca romana.
Ha forma è irregolare, ora allungata ora arcuata, di una bella tonalità rosso violetto. Anche in questo caso si tratta di un aglio dal sapore intenso e piccantino, che viene utilizzato per preparare molte specialità tutt’altro che leggere, dalla frittata di aglio fresco, alla ciambuttella di Grottaminarda (una specie di ratatouille) passando per la ciambotta sturnese (una pietanza preparata con peperoni, patate e pomodori). Ma se vi sembra troppo, un classico spaghetto aglio, olio e peperoncino andrà benone.