Per fare un tavolo ci vuole il legno
Per fare il legno ci vuole l’albero
Per fare l’albero ci vuole il seme
per fare il seme ci vuole il frutto
Per fare il frutto ci vuole un fiore
Ci vuole un fiore, ci vuole un fiore
Per fare tutto ci vuole un fiore
Chi non ha mai canticchiato questa vecchia filastrocca per bambini scritta da Gianni Rodari e interpretata da Sergio Endrigo? E perché ve l’ho citata? Perché tutte le volte che entro all’Albero dei Gelati, mi viene in mente. Sarà per l’atmosfera poeticamente d’antan dei locali (in Brianza ce ne sono tre: a Seregno, Cogliate e Monza), dove non manca mai uno spazio dedicato ai bambini, che hanno a disposizione seggioline, tavolini, fogli, lavagne, matite per colorare. E poi i loro disegni vengono appesi in bacheca, come piccole foglie di un albero.
Sarà soprattutto per la filosofia produttiva, che a ben guardare è già tutta racchiusa nel nome stesso – L’Albero dei gelati – a sottolineare il legame indissolubile tra gelateria e agricoltura, tra gelato e natura, dove frutta e verdura, in quanto prodotti della terra, giocano un ruolo centrale. Ma facciamo un passo indietro, per capire chi ha fondato, pardon piantato, il seme destinato a diventare albero, ovvero i fratelli Monia e Fabio Solighetti e Alessandro Trezza, marito di Monia.
«Nella nostra casa da sempre si respira l’amore per il gelato, per le persone, per le cose semplici, naturali e buone», racconta Monia, che oggi con Alessandro vive a New York, dove qualche anno fa sono stati aperti altri due punti vendita, entrambi a Brooklyn, nel quartiere sostenibile di Park Slope. «I nostri genitori hanno cominciato a fare gelato nel 1985 con il latte fresco, la frutta, la panna, le uova. Insomma, come si è sempre fatto, con genuinità e passione».
Ma la seconda generazione decide di andare oltre, più a fondo: alla scoperta delle origini delle materie prime. «Non bastava che fossero le più buone, per noi era ed è importante che siano anche pulite e giuste». Da qui l’inizio di un lungo viaggio per conoscere i contadini, i loro valori di rispetto per l’ambiente, il loro impegno per una coltura sostenibile, sempre pronta a valorizzare la biodiversità.
E finalmente nel 2007, dopo numerose ricerche sul campo, ma anche tanto studio dell’arte della gelateria, miscelando la matematica delle ricette all’estro creativo, Monia, Fabio e Alessandro danno ufficialmente vita al loro “gelato contadino”, che oggi figura ai primi posti di tutte guide alle migliori gelaterie d’Italia e non solo.
La domanda a questo punto è d’obbligo: come selezionate la frutta e la verdura per la creazione dei vari gusti?
«La nostra scelta parte dal metodo di coltivazione e usiamo solo frutta di stagione di piccoli produttori del nostro Paese. Lavoriamo esclusivamente con contadini che coltivano in modo biologico la loro frutta, molti seguono i principi della biodinamica. Non ci interessa che sia perfetta esteticamente ma etica, genuina e buona. Negli anni abbiamo collaborato allo sviluppo di molte coltivazioni in Brianza, un territorio non conosciuto per la propria vocazione agricola».
Quali caratteristiche organolettiche ricercate?
«Il grado di maturazione è il fattore fondamentale. La nostra frutta è sempre maturata sulla pianta. Siamo in contatto continuo con i nostri piccoli produttori che ci informano sui tempi: se la natura non collabora, aspettiamo. Il periodo più faticoso è l’inverno… a volte la primavera tarda ad arrivare, ma i nostri clienti sanno aspettare perché consapevoli del motivo che giustifica l’attesa. E questo con gli anni è diventato un punto di forza».
Ci sono varietà più adatte a diventare dei gusti gelato?
«Non ci sono frutti che si prestano meglio o peggio, l’abilità sta nel bilanciare una ricetta affinché il frutto esprima perfettamente la propria personalità. E poi non esistono ricette uniche: ogni frutto o verdura che sia ha la propria acidità, livello zuccherino… cosi le preparazioni sono bilanciate frutto per frutto, verdura per verdura, vaschetta per vaschetta. Da un punto di vista emozionale, è molto bello lavorare con i frutti “scomparsi”, come le giuggiole che abbiamo in edizione limitatissima dalle Marche, perché è il nostro modo di supportare la biodiversità che purtroppo si sta perdendo per logiche di grande distribuzione. Sul fronte verdure, invece, lavoriamo molto con l’estrattore, per estrarre tutte le proprietà del vegetale e poi le trasformiamo in gelato».
Tra i gusti storici dell’Albero legati al mondo ortofrutta troviamo i “fagiolini con aceto di mele dell’Acetaia San giacomo di Reggio Emilia e menta fresca” o il “radicchio rosso con cioccolato al pepe”. «”Barbabietola rossa e zenzero” è un altro gusto molto amato, come anche il fungo porcino che facciamo sempre a settembre». Tra le new entry targate 2019, invece? «La mora tayberry – unione del lampone rosso e della mora – dell’azienda agricola Monteregina di Lecco è stata l’assoluta sorpresa dell’anno insieme al gelso, raro e delicato, sempre dalla Brianza. Abbiamo anche iniziato collaborazioni con vignaioli e distillatori che coltivano anche alcune varietà di frutta, come la pesca vampira, che stiamo attendendo dal mastro distillatore Capovilla».
Restando in tema di novità, chiediamo a Monia di indicarci qualche tendenza.
«Il gelato salato, che in un certo senso può essere indicato come la moda del momento, in realtà per noi è un modo per incontrare sempre nuovi produttori: dalle verdure a formaggi, la lista è infinita. Ci auguriamo che la valorizzazione dei prodotti da agricoltura pulita e responsabile non diventi solo un trend ma una conditio sine qua non del gelato. Molto è ancora da fare. Ci sarà sicuramente anche un ritorno alla “memoria”, ai gusti portavoce di tradizioni che non devono essere perse». E in questo senso i piccoli produttori potrebbero giocare un ruolo chiave.
Accanto ai tre locali in Brianza e i due a New York, proprio in questi giorni L’Albero dei gelati ha aperto il suo sesto negozio a San Paolo, in Brasile.
«La vera bellezza è la possibilità di essere presenti su “terre” molto diverse tra loro, ma vicine quando si riscontrano (basta cercare) politiche agricole responsabili e produttori che condividono i nostri stessi valori. Il modus operandi è assolutamente lo stesso; partire alla ricerca degli ingredienti che piacciono a noi, incontrando i contadini, viaggiando, parlando con loro: le persone per noi sono molto importanti».
E a proposito dell’ultima apertura, Monia ci tiene a ricordare che all’Albero dei gelati di San Paolo le coppette di gelato sono biodegradabili al 100% ma anche edibili, perché prodotte con la manioca.
«Si tratta di una pianta della famiglia delle Euphorbiaceae originaria del Sudamerica, anche nota come cassava o yuca. Ha una radice tuberizzata commestibile, molto ricca in amido. Avevamo sentito parlare di questo progetto e ci siamo documentati con un’azienda che ha creato per noi lo stampo e ha realizzato le coppette. Dal mondo vegetale nascono anche packaging!».
Se avete ancora qualche curiosità trovate tante informazioni sul loro sito.